L’AMORE CHE FA MALE: DIPENDENZE AFFETTIVE E AMORI TOSSICI
- Dott.ssa Fabiola Pasetti

- 2 apr 2021
- Tempo di lettura: 4 min
In questo articolo si cercherà di mettere in evidenza cosa si intende per dipendenza affettiva patologica, chi è il dipendente affettivo e perché è difficile sganciarsi da una dinamica di dipendenza con un partner nonostante l’amore tra i due non sia sano e non promuove alcuna forma di benessere psicologico.
Innanzitutto, è numerosa la letteratura che tratta il tema da diversi punti di vista, prendendo in considerazione situazioni di vita varie, dalla dipendenza affettiva tipica di chi presenta una personalità dipendente, a quella patologica che può sfociare talvolta in situazioni di suicidio o di omicidio-suicidio.
Il punto critico è che per quanto se ne parli, anche a livello di cronaca nera, non si è mai in grado di definire in modo corretto e adeguato il tipo di trattamento che questi soggetti potrebbero svolgere per uscire e sganciarsi da queste relazioni tossiche, infatti questa categoria non esiste nemmeno all’interno di una classificazione internazionale, perché queste persone vengono classificate sotto la diagnosi di “disturbo dipendente di personalità”, che chiaramente è riduttivo e limitante per spiegare il fenomeno nella sua totalità.
Ma cosa si intende quindi per dipendenza affettiva patologica? E’ utile dire che la dipendenza non porta sempre aspetti negativi, bisogni come quello di stima, di approvazione, di protezione, di ammirazione e conferma necessitano di altri per poter essere confermati e soddisfatti.
Ma è la frustrazione continua di questi bisogni da parte dell’altro (partner, genitore ecc) che possono predire comportamenti di dipendenza patologica in età adulta.
Quindi la dipendenza patologica si caratterizza per abusi/violenze di qualsiasi tipo perpetrate nel tempo da uno dei due partner e quello che soffre non riesce ad uscire da questo rapporto, perché quando c’è nell’aria la minaccia di una separazione, provano forte ansia e angoscia tale da dover far di tutto per ricercare la relazione e diminuire lo stress emotivo; in altre parole, sono disposti a prevenire un eventuale scenario di separazione, mentre quando questo accade realmente provano rabbia e disperazione e fanno di tutto per recuperare il rapporto.
E’ stato, quindi, proposto un modello di stampo cognitivo delle dipendenze affettive che ben riassume quello che accade all’interno di queste dinamiche:
1) Obiettivo da evitare: perdere l’amore del partner
2) Ri-conquista: comportamento seduttivo
3) Tutto va bene, illusione romantica: l’amore è magico
4) Ri-comparsa dei costi legati alla relazione: non è presente nessun conflitto emotivo nel soggetto (conflitto che può vivere negli occhi di un osservatore esterno alla coppia, come la famiglia o gli amici)
5) Conflitto semplice: alternanza di rabbia ed illusione
6) Conflitto secondario: situazione di stallo in cui la persona sa che stare all’interno di quella relazione fa male, vorrebbe liberarsene ma non lo fa
7) Crisi o rottura per volontà del partner o propria.
Lo scopo del dipendente affettivo è quello di garantirsi la vicinanza, sentirsi necessario ed essere amato da un altro poco o per niente disponibile, fragile e/o maltrattante (sul piano psicologico, emotivo, fisico, sessuale e/o economico) verso il quale sviluppa una vera e propria ossessione. Compagni particolarmente accudenti lo opprimono mentre preferisce partner sfuggenti o distanzianti, tanto che il tipo che lo ama o che risponde positivamente ai suoi bisogni è spesso descritto come “noioso”.
Quindi la sfida che si pone interiormente sembra essere quella di cambiare o salvare l’altro, ritenuto fragile ed irraggiungibile, quindi per raggiungere questi scopi spesso mette in atto comportamenti disfunzionali per il suo benessere, ma funzionali per mantenere il rapporto con il partner.
Nonostante i momenti di crollo psicologico in cui si sente soffocato da una relazione di questo tipo, ciò che lo porta a permanerci è l’intolleranza della separazione, l’incertezza che ne consegue, la paura della solitudine, ma nonostante questo tenderà a darsi spesso la colpa di ciò che accade e dei comportamenti negativi e/o aggressivi dell’altro.
Il modello precedentemente riassunto per punti può essere letto in un’ottica di costi e benefici che si traggono dalla relazione, che siano di tipo primario o secondario esistono comunque dei vantaggi nello stare in quella relazione da parte di entrambi i membri della coppia, in questo specifico caso per chi soffre è preferibile stare nella relazione piuttosto che separarsi dell’altro in quanto costituisce un beneficio non prossimo a livello temporale, nel senso che l’imparare poi a stare bene da soli ed elaborare il lutto per la separazione sono processi lunghi nel tempo e non hanno una soddisfazione immediata, come invece è garantito nel caso in cui venga preservata la relazione.
La capacità del clinico di riconoscere di esser di fronte a una dinamica di questo tipo, individuare i circoli dolorosi del paziente e strutturare un intervento clinico mirato alla risoluzione della problematica, sono una prima risposta a un problema sottovalutato e che meriterebbe l’attenzione di una molteplicità di strutture deposte all’educazione e alla tutela della salute mentale dell’individuo.
Quindi lo scopo del terapeuta sarà quella di aiutare il soggetto a sganciarsi da questi meccanismi disfunzionali, attraverso un’attenta ma graduale presa di consapevolezza da parte del soggetto dei meccanismi patologici che si sono instaurati, puntando l’attenzione anche ad un aumento dell’autostima e del senso di autoefficacia nel gestire e affrontare gli eventi della propria vita, arrivando poi all’obiettivo finale, ovvero la chiusura definitiva della relazione e l’impegnativa ma fruttuosa ripresa della propria vita in una condizione di maggior benessere psicologico e sociale.
Ringrazio per la collaborazione nella scrittura dell'articolo la Dott.ssa Valentina Cajani
Dott.ssa Fabiola Pasetti
Psicoterapeuta Sistemico Relazionale
3271571177





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