Relazioni perverse
- Dott.ssa Fabiola Pasetti
- 6 apr 2021
- Tempo di lettura: 5 min
Continuando nella trattazione dell’argomento sulle relazioni tossiche, in questo articolo si parlerà in particolare di relazioni di violenza psicologica da parte dell’uomo sulla donna e dei meccanismi alla base di queste dinamiche.
Infine si cercherà di delineare un possibile intervento per dare una via di uscita a queste donne vittime di abusi.
Spesso le relazioni di questo tipo sono composte da un membro della coppia definibile come narcisista o con forti tratti narcisistici di personalità, il quale rimane completamente indifferente nei confronti della relazione con l’altro, perché non ne riconosce l’esistenza.
Vengono messi in atto dei comportamenti da parte di queste persone che possono essere definiti perversioni in quanto viene totalmente capovolto e rovesciato l’ordine di come le cose dovrebbero funzionare all’interno di una coppia in questo specifico caso, in altre parole laddove una relazione sana si definisce tale per aspetti come la stima nei confronti dell’altro, il bisogno di protezione e sicurezza, l’amore e la fiducia, in queste relazioni vige invece il controllo (del telefono ad esempio), l’appropriazione del denaro dell’altro, l’intrusione nelle amicizie o nelle frequentazioni e il conseguente isolamento della persona che si vede costretta ad abbandonare la sua cerchia sociale e talvolta anche familiare, ma ancora la colpevolizzazione dell’altro per qualsiasi cosa, atteggiamenti svalutanti e denigratori ed infine un comportamento possessivo (di gelosia e di bisogno di percepire l’altro come un oggetto appartenente solo al sé e a nessun altro).
Il fine di questo comportamento da parte del narcisista potrebbe essere spiegato da varie prospettive ed effettivamente le motivazioni che lo spingono a tutto ciò possono essere molto varie. Primo fra tutti c’è il desiderio di calpestare a tutti i costi la verità, di manipolare la realtà dell’altro per evitare qualsiasi contatto con i propri conflitti interiori e i proprio demoni.
La dinamica è del tipo “manipolo te, ti uso e mi difendo dal lavoro che invece dovrei fare su me stesso”.
Cerchiamo ora di definire meglio il tipo di rapporto che si instaura dall’inizio alla fine:
1) Innanzitutto c’è l’inizio del rapporto, che appare molto piacevole nella conoscenza, anzi addirittura più piacevole talvolta di altri rapporti provati in precedenza dalla donna. Il narcisista classico, quello caratterizzato da un forte senso di grandiosità del sé e un’autostima molto elevata (anche se solo apparente) cerca di associare la compagna a qualcosa di grandioso e di creare cosi una coppia che in qualche modo è speciale rispetto alle altre; con l’altro tipo di narcisista, quello che si nasconde dietro ad una corazza di timidezza, l’inizio è ancora più bello, perché si percepisce inferiore, impresentabile, incapace di avere delle relazioni e il fatto che ha trovato una compagna, soprattutto se è una donna di successo o con dei valori importanti, è come aver trovato il paradiso.
2) Successivamente ci si accorge delle prime dinamiche che il narcisista mette in atto, ovvero porta sul piedistallo la compagna ma lentamente si accorge che lui non ha delle buone amicizie o dei buoni rapporti, anzi tende a denigrare le altre persone, quindi sostanzialmente fa terra bruciata intorno a sé. Quando la donna comincia a dare il suo punto di vista sulla situazione di solito lui si irrita e comincia a pensare che anche lei è una dei tanti che non riconosce quanto lui sia una persona di valore e che merita di essere riconosciuta nel mondo per ciò che è/fa.
3) Si passa quindi alla svalutazione della compagna, ed è qui che inizia la perversione e il maltrattamento psicologico, in cui la donna arriva spesso a sentirsi sbagliata e a non capire come affrontare la situazione.
E’ come se in questi narcisisti esistesse un’ambivalenza, una doppia faccia: c’è il lato buono che talvolta li fa apparire come persone ben adattate nel contesto sociale e quindi in sintonia con gli altri, altri momenti in cui non si sente capito, in cui tutti gli altri sono esseri inferiori a lui e quindi vengono continuamente svalutati. Ed è proprio per questo lato buono che molte donne non riescono a sganciarsi da un rapporto che di fatto è malato e le fa solo soffrire, perché si ricordano di come era il rapporto all’inizio e c’è sempre la speranza che ritorni ad essere tale. Si pone poi anche il problema di eventuali figli o nati dalla coppia oppure di uno dei due partner che ad un certo punto della relazione fanno la loro comparsa, in questo secondo caso i figli della compagna vengono visti come una minaccia ed un elemento destabilizzante in quanto porteranno via sicuramente delle attenzioni e del tempo a lui, il quale non permette che niente interferisca nella loro relazione.
Perché le compagne non lasciano questi uomini? Una prima spiegazione deriva dal forte investimento che spesso è presente in queste relazioni, vissute come “il matrimonio dei sogni” o “l’uomo della loro vita” e quindi lasciarli costituisce una perdita ed un lutto importanti con una conseguente presenza di vissuti di depressione, che spaventano molto. Spesso si tratta anche di donne che nelle loro infanzia hanno subito qualsivoglia forma di violenza nell’ambiente domestico e familiare e quindi tendono a rimettersi in situazioni simili in età adulta perché in qualche modo è l’unico modello di relazione che hanno appreso e che ritengono essere “giusto” (nel caso in cui la questione non sia stata adeguatamente affrontata da un punto di vista psicologico da un professionista); ma ancora si potrebbe parlare talvolta di persone dipendenti, che hanno timore a restare da sole e si sentono incapaci di fare qualsiasi cosa per conto proprio e necessitano di un altro percepito come più forte per poter affrontare le difficoltà o in generale gli eventi di vita.
La sofferenza provata da queste donne vittime di maltrattamenti di ogni tipo (come si diceva si va dal controllo del telefono, all’eliminazione di tutte le amicizie e quindi l’isolamento e la sensazione di abbandono che viene percepita) porta anche a vere e proprie malattie o meglio sintomi psichici o psicosomatici come attacchi di panico, ansia collegata a fobie specifiche, sintomi ossessivo-compulsivi, somatizzazioni di vario tipo (gastrite o ulcere), insonnie, disturbi dell’umore ecc. Quindi come si esce da questo tunnel? E’ importante che lo psicoterapeuta al quale la vittima si rivolge attui un lavoro di rete con altri professionisti per valutare il quadro generale, dallo psichiatra al medico di base e altre figure che potrebbero essere implicate successivamente sulla base delle esigenze (es. assistente sociale nel caso siano coinvolti anche minori). In generale si può dire che l’obiettivo è quello di rimettere insieme i pezzi, riconoscere che la violenza c’è stata (cosa che tendono ad eludere) e un trattamento psicoterapeutico costituisce la giusta scelta per poter riprendere in mano la propria vita, per poter tessere la trama di un vissuto che è stato lacerato dalla perversione attuata dal narcisista.
Non dimentichiamo anche i centri antiviolenza per le donne che grazie al contributo di molte professioniste offrono colloqui di sostegno psicologico, gruppi di auto-aiuto e di collaborazione con i servizi territoriali per eventuali problematiche collegate.
Ringrazio la Dott.ssa Cajani per la collaborazione nella scrittura dell'articolo.
Dott.ssa Fabiola Pasetti
Psicoterapeuta Sistemico Relazionale
www.fabiolapasetti.com
@psicoterapeuta.fabiola.pasetti
3271571177

Comments